Corsa e felicità

Scritto da: Andrea Gabbon
Data: 19.08.2019

Leggo post di persone depresse. Non i soliti viziati/annoiati, ma veramente depresse clinicamente.

Non sono amici. Penso di non avere nessun vero amico, quello che senti tutti i giorni e fai quasi tutto assieme.

Vera amica, ma anche molto oltre, ho Barbara. Questi sono persone che semplicemente conosco. Eppure mi suscitano lo stesso la voglia di prenderli per “el copin” urlandogli di darsi una svegliata.

La depressione è una brutta bestia. Ti tira giù per i piedi, ti fa immergere nel nero più profondo, dentro una melma che non lascia passare luce e rumori. Urli a salve.

Sebbene intelligenti e consapevoli della loro situazione la scalata dalla fossa è disumana.

I paragoni con chi sta peggio non servono. Difficile è cambiare l’attitudine con cui ci si rivolge ai problemi.

Non sono mai stato depresso, anche se penso di aver visto per un po’ il nero. Il click in testa che mi ha fatto cambiare il modo con cui pormi ai problemi della vita me lo ricordo ancora.

Ero in diga, in una giornata di vento e sole qualsiasi, durante una corsa qualsiasi, di un autunno qualsiasi. Quasi arrivato al faro mi sono sentito come Forrest Gump quando correva con la folla dietro di lui.

Io non avevo persone vere e proprie dietro di me, ma sentivo che c’era chi mi voleva bene misto a frammenti di momenti felici. I miei genitori, i miei amori, i nonni che non c’erano più, gli amici passati, gli amichetti dell’asilo, i compleanni in cortile, i giri in bici con le cerbottane, le notti col falò.

Ci sono stati tanti “Andrea” prima di quella corsa e sulla diga correndo io ero il risultato di tutti questi ed a supportarmi in questo percorso ho avuto tante persone che con il loro bene (alcune anche col il loro male) mi hanno fatto arrivare fino a lì.

Mi sono sentito pieno, colmo, completo, felice ed euforico. Ho pianto. Correvo e piangevo. Ed ho giurato che mai più avrei fatto prevalere la tristezza e che il nero non mi avrebbe vinto.

Non so come, ma spero che anche queste persone vivano un “click” nella loro testa e che, sebbene la vita sia tutta qui, capiscano che vale veramente la pena di sorridere, sempre.